Torniamo a parlare del Regolamento Europeo 679/2016 e lo facciamo tramite il provvedimento n. 3 di luglio 2019, emendato dall’European Data Protection Board (composto dai rappresentanti delle autorità nazionali per la protezione dei dati e dal Garante europeo), il quale chiarisce una serie di perplessità legate all’applicazione delle nuove norme sulla privacy nel campo della sicurezza. Da esso possiamo trarre una serie di linee guida da seguire che non hanno comunque valenza normativa.

Per quanto riguarda la biometria (rilevamento dei volti e intelligenza artificiale legata anche ai comportamenti) per l’EDPB servono garanzie di un corretto funzionamento, onde incappare in malfunzionamenti capaci, all’estremo, di creare discriminazioni. Ecco che quindi si punta l’attenzione sugli algoritmi di riconoscimento, spesso vincolati anche all’età e all’etnia del soggetto inquadrato dalle telecamere.

La videosorveglianza, secondo il gruppo di lavoro europeo, andrebbe utilizzata “cum grano salis”, vale a dire in quei contesti in cui non ci sono altre situazioni perseguibili e non per una scelta di comodità economica o tecnologica (vedi l’alta risoluzione delle immagini che possiamo ottenere oggi). Gli articoli 35 e 37 del GDPR, non a casa, prevedono che venga stilata una valutazione d’impatto sui diritti e sulle libertà degli interessati nell’ipotesi di monitoraggio sistematico di aree pubbliche, oltre che la nomina di un responsabile per la protezione dei dati che aumenti la tutela degli interessati.

E per le telecamere “finte”, ovvero quelle installate come mero deterrente? In quel caso il regolamento, secondo l’EDPB, non è applicabile, come del resto tutti i dispositivi che nascono con scopi diversi dal videocontrollo o dalla videoregistrazione. Il GDPR non è invece di riferimento per i sistemi di TVCC legati alla pubblica sicurezza, i quali invece devono seguire la Direttiva Europea 680/2016.

Altro tema è quello della “esclusione familiare”: se le immagini sono prodotte per un uso domestico senza alcuna diffusione esterna, allora siamo fuori dall’ambito del GDPR: diversamente sarebbe se quelle immagini, come quelle di una videosorveglianza, finissero sul web.

La legittimità di una ripresa è data, ai fini di videosorveglianza, qualora ci sia un legittimo interesse di tutelare un bene o delle persone, come i dipendenti di un’azienda, di un interesse pubblico, o comunque contesti in cui i presenti, se danno il loro consenso, sanno che certe immagini potranno essere pubblicate sul web o diffuse.

“Ai sensi dell’articolo 21, il responsabile del trattamento può procedere alla videosorveglianza dell’interessato solo se si tratta di un interesse legittimo, convincente e che prevalga sugli interessi, i diritti e le libertà dell’interessato…”: quando si parla di legittimo interesse significa che la necessità riscontrata sia effettiva. Per esempio, un’attività commerciale può necessitare di TVCC in maniera effettiva a seconda della tipologia (esempio una oreficeria) o del contesto in cui si trova.

Molte altre spiegazioni possono essere fornite dai tecnici commerciali di Datacom Tecnologie all’indirizzo info@datacomtecnologie.it.

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